BLOG DEL COLLETTIVO LAVORI IN CORSO

– AMNESIE DEL III MILLENNIO –

by on Feb.19, 2010, under Generale

25febb20010 infoibiamoli tutti


Teatro 25febb

 

Giovedì 25 Febbraio nella facoltà di Lettere e Filosofia di Tor Vergata 

un’intera giornata sarà dedicata al ricordo delle pratiche nazifasciste attuate nei Balcani.

Episodi evidentemente scomodi e appositamente rimossi dalla memoria del nostro Paese


 

 

AMNESIE DEL TERZO MILLENNIO

(noi ricordiamo tutto)

“Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma
quella del bastone. I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possono
sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”

                                                                                                                                         Benito Mussolini, 1920

In seguito al Trattato di Rapallo, firmato nel 1920 tra il Regno d’Italia e quello dei Serbi, Croati e Sloveni, furono annesse
all’Italia Gorizia, Trieste, l’Istria e Zara (in seguito anche Fiume).
P.N.F.” Comando Squadristi – Dignano Attenzione! Si proibisce nel modo più assoluto che nei ritrovi pubblici e per le strade
di Dignano si canti o si parli in lingua slava. Anche nei negozi di qualsiasi genere deve essere una buona volta adoperata
SOLO LA LINGUA ITALIANA.
Noi Squadristi, con metodi persuasivi, faremo rispettare il presente ordine “
Così, a chiari intenti, iniziò una sanguinosa repressione dell’identità etnica e un genocidio culturale, che tramite tutte le
pratiche care al regime fascista e ad i suoi servi cominciava dall‘italianizzazione forzata, con la proibizione dell’uso delle
lingue slovena e croata negli uffici pubblici.
Il Tribunale di Trieste emise nell’aprile del 1922 un’ordinanza che così prescriveva: "L’uso della lingua slovena nei Tribunali
di Trieste è assolutamente proibito sia negli atti che nei procedimenti orali ".
Il Regio Decreto del 7 aprile 1927 prevedeva la "restituzione in forma italiana dei cognomi originariamente italiani
snazionalizzati", che estendeva alla Venezia Giulia il precedente decreto n. 17 del 10 gennaio 1926, emanato per l’Alto
Adige. I prefetti nominarono speciali commissioni con l’incarico di formare gli elenchi dei cognomi da italianizzare. Dal 1928
al 1931 questi elenchi vennero pubblicati, e sulla Gazzetta Ufficiale cominciarono a comparire i decreti prefettizi che
imponevano la mutazione coatta dei nomi di intere famiglie.
Nel 1918 nella Venezia Giulia esistevano 541 scuole slovene e croate con circa 80.000 studenti. Un anno dopo, le scuole
erano già ridotte a 464, con 52.000 alunni. I primi ad essere colpiti furono gli insegnanti sloveni e croati. La riforma Gentile
dell‘inizio del 1924, all’art. 4 stabiliva che "in tutte le scuole elementari del Regno l’insegnamento è impartito nella lingua
della Stato". Gli insegnanti elementari sloveni dunque, per poter continuare ad insegnare nelle scuole italianizzate avrebbero
dovuto superare un esame di italiano entro l’aprile del ’24 stesso, ma molti vennero allontanati ancor prima dalle loro
occupazioni, essendo i licenziamenti in massa iniziati già dall’ottobre 1923.
Il "fascismo di frontiera" perseguiva una politica di imposizione di italianità, che ambiva ad accattivarsi le simpatie della
borghesia liberal-nazionale triestina e giuliana, nonché ad orientare la pubblica opinione contro la minoranza slava;
conseguenza diretta di questo programma di distruzione socio-culturale fu la fuga di gran parte delle minoranze della
Venezia Giulia. Secondo stime jugoslave emigrarono dai nuovi territori “italiani” all’incirca 105 mila sloveni e croati.
L’ imperialismo italiano, mirando esplicitamente all’egemonia del bacino adriatico, e trovando d’intralcio la popolazione
slovena e croata che iniziava a tendere verso l’annessione politica alla Jugoslavia,
stravolse l’eredità ideologica dell’ irredentismo (o di gran parte di esso) presentando la snazionalizzazione forzata come
propria "generosa concessione", che avrebbe portato questi popoli “inferiori” a far parte a pieno titolo della pretesa
"superiore civiltà italiana".
Entro l’inizio degli anni ’30 venne del tutto eliminata la vita associativa, culturale, politica ed economica slovena e croata (il
patrimonio economico delle associazioni sciolte passò, ovviamente, alle organizzazioni del regime fascista). In questo
stesso frangente temporale si svilupparono però organizzazioni di resistenza armata: secondo lo storico Sandi Volk, “la
nascita del movimento rivoluzionario armato significò la smentita delle tesi, sostenute ancora nel 1928 dal "Piccolo"
(quotidiano triestino di ispirazione fascista), sulla incapacità quasi "razziale" degli slavi di intraprendere azioni di resistenza
organizzate”.
Si trattava della rottura del cliché paternalista del "buon villico slavo", barbaro e sanguigno ma finalmente sottomesso,
incapace di mettere in dubbio gli equilibri nazionali del Potere.
Cambiò così (in maniera estremamente pericolosa per i fascisti) il paradigma del Croato e dello Slavo, che ora
pretendevano anziché subire. La minaccia era soprattutto rappresentata dal dilagante consenso raccolto da questi
movimenti nel contesto popolare, che riconoscevano come valida e dignitosa la strada della Resistenza.
“Il movimento nazional-rivoluzionario raccolse la sfida lanciata agli slavi dal fascismo, dal quale, come scriveva il giornale del
movimento, aveva imparato che l’ unico modo per ottenere i propri diritti era quello dell’ uso della violenza. Tale movimento
si trasfuse poi, praticamente senza soluzione di continuità […] nel movimento partigiano“.
Il periodo delle cosiddette “foibe istriane” va dalla seconda metà di settembre al 4 ottobre 1943, coincidendo con
l’insurrezione generale del popolo dell’Istria.
La popolazione di croati, sloveni, e italiani che erano stati oppressi per un Ventennio, privati d’ogni diritto, torturati, trucidati,
perseguitati, deportati e confinati, sentì vicina la Liberazione dalla lunga tirannide nazi-fascista.
Fu reclamata la punizione dei fascisti e l’allontanamento dal potere. Partirono, come è lecito immaginare, rivolte, assalti,
catture.
Fascisti, gerarchi, ricchi proprietari ed esponenti del regime vennero catturati dai "comitati di liberazione" e consegnati ai
"tribunali del popolo". Processati e condannati a morte nella maggior parte dei casi.
Gli italiani furono la maggioranza delle vittime, perché in stragrande maggioranza erano stati loro i podestà, i segretari del
Fascio, i detentori del potere politico ed economico, i grandi proprietari terrieri ed altri collaboratori del regime.
Dalle foibe sono stati estratti circa 200 corpi, cifra stravolta e strumentalizzata dalla destra neofascista e revisionista… Luigi
Papo, ex ufficiale della Milizia fascista al servizio dei tedeschi in Istria, il più fecondo "storico" delle foibe di estrema destra, è
arrivato a scrivere che gli "eccidi" portarono alla "eliminazione del 5 per cento degli Italiani"!
Falsificazioni, mistificazioni e revisionismi celano quella verità storica scomoda agli autoritarismi. Perché? Perché dietro allo
stravolgimento della realtà, si nasconde un tentativo di giustificazione delle violenze, del collaborazionismo con i nazisti, e
dei crimini di guerra commessi dai fascisti in Istria.
E’ necessario quindi ricordare un altro fatto storico della vicenda istriana dell’autunno 1943, anche per rispondere a coloro i
quali affermano che il "genocidio degli italiani in Istria è rimasto impunito".
Alla breve parentesi dell’insurrezione popolare e della sanguinosa violenza che l’accompagnò, fece seguito l’ancor più
feroce violenza degli occupatori tedeschi e dei collaborazionisti fascisti. Dal 2 al 10 ottobre 1943, guidati dai fascisti locali, i
tedeschi fecero terra bruciata appiccando il fuoco alle case, dilagando in Istria con ingenti forze militari, invadendo decine di
paesi.
Fucilando.
Impiccando.
Deportando.
L’Istria conta oltre 17.000 morti tra vittime della repressione nazifascista, morti nei lager e caduti nella Resistenza armata.
Riunitisi nel Partito Fascista Repubblicano, arruolatisi nella Guardia Nazionale Repubblicana, nella Milizia Difesa Territoriale
e, più tardi, nella Decima Mas, nonché nei reparti SS e nella Gestapo, i fascisti tornarono al loro vecchio mestiere di
manganellatori, torturatori, delatori, cacciatori di teste, in breve, di assassini, giustificando il tutto con il "diritto" di vendicare i
camerati infoibati e con il "dovere" di "difendere l’italianità dell’Istria, minacciata dalla barbarie slavo-comunista", come fu
scritto allora e come si continua a scrivere – mentendo e sapendo di mentire – ancora oggi.


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