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CINEFORUM
by lavoriincorso on Nov.10, 2011, under General
Commenti disabilitati su CINEFORUM more...CHIUDONO BARACCA E BURATTINI.
by lavoriincorso on Nov.03, 2011, under General
Il 27 Ottobre si è riunito il Consiglio di Facoltà per decidere della sopravvivenza dei corsi di Laurea
e della prossima riorganizzazione dipartimentale.
Come prevede la riforma Gelmini, la nostra Facoltà ha subito e continua a subire una drastica riduzione dell’Offerta Formativa e il taglio indiscriminato di tutti i servizi per gli studenti.
Il Preside in combutta con i Presidenti dei Corsi di Laurea, ha messo le toppe per “mandare avanti la baracca” [cit. Preside]:
– La maggior parte dei ricercatori e ricercatrici (quelli che ci fanno le lezioni e gli esami) ha
accettato un contratto da 1 euro a 23 euro per ogni modulo svolto, cifre ridicole anche da
pronunciare! La situazione a riguardo rimane ambigua: da una parte il Ricercatore è un
soggetto estremamente ricattabile, quindi quasi costretto all’attività didattica, dall’altra vede
come unica soluzione la speranza in un futuro riconoscimento che lo porta alla passiva
accettazione di ciò che gli viene imposto.
Che livello di qualità possiamo aspettarci dall’insegnamento affidato ad un
ricercatore non retribuito che svolge attività che da categoria non è tenuto a
sostenere?
– Il docente ordinario avendo un’alta retribuzione dovrebbe come minimo occuparsi
dell’insegnamento, quindi tenere le lezioni, sostenere gli esami e occuparsi delle tesi di
laurea. Queste mansioni vengono invece sistematicamente affidate ai ricercatori che a
contratto zero non si occupano neanche più di Ricerca ma alleggeriscono il carico di lavoro
ai baroni strapagati.
– Gli stessi professori ordinari che durante le lezioni danno spazio a considerazioni politiche e
critiche sulla situazione attuale, in realtà nella messa in pratica si rivelano a difesa solo dei
loro interessi, che nella maggior parte dei casi coincidono con il mantenimento dei ruoli e
dei rapporti di baronato; come nel caso della votazione favorevole quasi unanime per
l’approvazione dei contratti gratuiti, che ha smascherato definitivamente le dinamiche di
sfruttamento (tipiche delle aziende) presenti nell’Università.
Siamo sicuri che riusciremo a portare a termine il percorso di studi che abbiamo scelto di
intraprendere all’inizio della nostra carriera accademica ?
– Questi provvedimenti temporanei (le toppe sopracitate) non fanno altro che rimandare il
problema, nella peggiore delle ipotesi a sei mesi, nella migliore ad un anno. Nonostante si
voglia far credere che tutto sia stato risolto, la situazione è tutt’altro che stabile: questo
sistema infatti è stato attuato nella consapevolezza che a breve, per gli obblighi dettati dalla
riforma Gelmini, dovrà necessariamente essere stravolto.
Siamo sicuri di dover accettare passivamente tutto questo?
Ogni mercoledì, collettivo di facoltà in aula charlie brown…
IL FUTURO E’ ADESSO. IL FUTURO E’ NOSTRO!
by lavoriincorso on Nov.03, 2011, under General
Ci vorrebbero assuefatti ad una vita di lavoro forzato.
Pretendono di sfruttare il più possibile i nostri corpi e le nostre energie, le nostre intuizioni e le nostre facoltà
mentali. Ci vogliono pronti e disponibili.
Pretendono di pagarci il meno possibile. Pretendono una produzione h24, sette giorni a settimana. Non
sono tollerate insubordinazioni. Il ricatto è la povertà, il disastro economico a fronte di una vita nella quale
sembra impossibile andare avanti senza spendere denaro in continuazione, nella quale tutto è business e i
rapporti sociali sono condizionati dai vincoli dello scambio economico.
L’orizzonte che ci prolano è la precarietà più totale, sommersi dai debiti e addormentati davanti alla televisione.
Il nostro orizzonte è il superamento del sistema capitalista basato sul denaro e sulla proprietà privata, frutto
del saccheggio e della rapina delle risorse del pianeta, dello sfruttamento sfacciato delle risorse umane.
La ne di un sistema di conni e guerra permanente che, mettendo a dura prova l’ecosistema, induce allo
spreco e produce diseguaglianze sociali inaccettabili.
La ne della folle irrazionalità di governi gestiti da banchieri e imprenditori interessati solo alla crescita del
loro PIL. La ne di qualsiasi governo che pretenda di rappresentarci.
L’inizio della creazione di strutture per l’autorganizzazione della classe lavoratrice.
Per riprenderci la vita e decidere noi che direzione dargli.
L’inizio di un nuovo modo di produrre.
Per costruire un orizzonte meno disastroso di quello che ci stanno preparando.
La rivolta passa per la diserzione del lavoro alienato, per lo sciopero selvaggio e generalizzato, per la collaborazione
nella costruzione delle vie di fuga dal sistema dello scambio economico, per l’autorganizzazione
delle lotte, per il riuto della delega e l’allontanamento di tutti i partiti e i sindacati, tutti collusi con il capitalismo.
Passa per il riconoscersi come classe sfruttata e organizzare la controensiva.
Gli attuali avvenimenti in tutto il mondo confermano che ovunque c’è sducia nel modello capitalista. La
rabbia non basta. L’importante è avere chiaro l’orizzonte e andargli incontro.
La strada va costruita insieme e subito. Giorno dopo giorno, passo dopo passo.
CONTRO IL CAPITALE CHE INQUINA SFRUTTA E UCCIDE.
PER L’ABOLIZIONE DEL LAVORO ALIENATO,
PER L’AUTOGESTIONE DELLE NOSTRE VITE,
PERCHE’ TUTTO SIA DI TUTTI.
(d)ISTRUZIONE
L’univeristà al servizio del mercato
Per quanto riguarda l’Università i processi di “riforma” non fanno altro che acuire i livelli di contraddizione
che attraversano, su più piani, l’istruzione pubblica. Ci basta osservare il rapporto tra i lavoratori tecnici,
amministrativi e precari e le dirigenze accademiche che privatizzano i rapporti di lavoro e favoriscono il
decentramento della contrattazione e ancora il rapporto tra le masse studentesche escluse dai livelli più alti
della formazione e i meccanismi sempre più rigidi di selezione, repressione e controllo.
Nel generalizzato processo di proletarizzazione e sfrenata mercicazione, l’istruzione e la ricerca ovviamente
non sono state risparmiate, rispondendo alla costruzione di un’economia dei capitali basata sulla conoscenza.
Da questo punto di vista il 3+2 e il sistema di crediti non sono solo un’operazione linguistica ma si inseriscono
nella costruzione di un sistema di certicazione delle competenze integrato a livello europeo: Trattato di
Lisbona e Carta Europea sono strumenti funzionali al sistema produttivo, costruendo un processo di formazione
esteso e continuo, adattabile alle bizze del mercato.
Alla questione della mercicazione dei saperi è strettamente legato il modo in cui si congurano la didattica
ed i suoi tempi nelle nostre aule: il voto, la lezione frontale, i ritmi serrati delle lezioni, sono strumenti che
non permettono la fruizione di una cultura che possa realmente formare soggetti critici, ma contribuiscono
a riprodurre l’ideologia dominante di cui l’università si fa portatrice.
Anche stage e tirocini obbligatori si rivelano sfruttamento selvaggio della forza lavoro degli studenti in
impieghi totalmente estranei dai percorsi di studi (fotocopiare, smistare posta, ecc.) , delineandosi, quindi,
come ulteriore ricatto per i lavoratori, in una fase in cui aumentano giorno dopo giorno i disoccupati e i
cassaintegrati. Si pensi all’internalizzazione dei servizi, come la mensa, le pulizie, la biblioteca che vengono
adate a imprese appaltatrici o subappaltatrici le quali non applicano ai lavoratori nemmeno le poche
tutele di base.
Nel rispetto delle specicità è necessario notare che i lavoratori e gli studenti sono inseriti nello stesso ciclo
produttivo: entrambi concorrono alla valorizzazione delle merci quindi esposti agli stessi processi di proletarizzazione,
entrambi privati di contratti nazionali e dei diritti sociali. L’articiale opposizione tra lavoro cognitivo
e manuale ha l’unico obiettivo di ouscare la possibilità di una larga lotta unitaria di chi patisce le
conseguenze della scomposizione di classe.
È lampante il nesso tra smantellamento dell’istruzione, devastazione ambientale e attacco ai diritti dei
lavoratori come avanzamento delle logiche di protto.
Generalizziamo la lotta, allarghiamo i nodi del conitto!
La precarietà che ci nega il futuro
Il processo di precarizzazione del mercato del lavoro iniziato alla ne degli anni ’70 e dopo le accelerazioni
normative a partire dalla seconda metà degli anni ’90 vive oggi una nuova fase: la precarizzazione dei
contratti a tempo indeterminato attraverso la cancellazione di fatto del contratto nazionale, l’ampliamento
del potere di arbitrio del padronato sull’organizzazione del lavoro e dunque sui tempi ed i ritmi della
nostra vita no all’odioso sistema delle deroghe a qualunque norma contenuto nell’art. 8 della manovra di
agosto e nell’accordo rmato da CGIL-CISL-UIL e Conndustria il 28 giugno scorso e confermato il 21
settembre.
A questo processo di ridenizione, tutto a vantaggio del sistema delle imprese, dei rapporti sociali fra
capitale e lavoro hanno dato il loro contributo tutti i soggetti istituzionali: Stato, partiti di governo e di
opposizione, sindacati ed associazioni di categoria. Una riedizione del modello corporativo a cui la crisi in
atto ha aperto contraddizioni e tensioni per la spartizione dei ristretti margini di protto ma al contempo
ha accentuato il carattere classista dell’attuale struttura sociale.
In questo contesto è ancora estremamente debole la capacità di risposta di lavoratrici e lavoratori (quale
che sia la tipologia contrattuale a cui sono sottoposti o la nazionalità di provenienza) vuoi per l’abitudine
coltivata negli ultimi decenni a ricercare soluzioni individuali ai propri bisogni, vuoi per la frammentazione
propria dell’attuale organizzazione produttiva, vuoi per il nefasto ruolo di controllori dell’insubordinazione
proletaria rivestito dalle OO.SS., vuoi per l’assenza di progetti credibili e condivisi di trasformazione sociale.
La riproposizione di un terreno di intervento separato (il sindacato per le rivendicazioni economiche e del
mondo del lavoro, le associazioni per la tutela dei territori e dei diritti civili, le ong sulle questioni della
guerra e della pace, il soggetto Politico a ricomporre le istanze per la mediazione istituzionale) non fa altro
che accentuare le nostre debolezze. Ci espropriano della capacità di organizzazione e lotta e riservano a
noi tutti e tutte il ruolo di spettatori votanti (magari ogni tanto attori in qualche mega manifestazione o in
qualche sciopero generale a comando) della Politica.
Parole d’ordine come “il lavoro bene comune” mentre il lavoro è la fatica che uccide migliaia di persone
ogni anno disorientano dalla rivendicazione di una trasformazione radicale dell’esistente dove il tempo
della necessità (quindi del lavoro) sia ridotto al minimo: non il lavoro ci dà dignità bensì la conquista della
coscienza di appartenere ad una classe che, mentre produce l’intera ricchezza mondiale, contiene in sé le
risorse per conquistare un nuovo orizzonte di liberazione dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla
donna.
Tutto l’esistente è asservito alla produzione di protto, dalla nascita alla morte (il famoso “produci consuma
muori”) e di volta in volta assume i diversi volti: del padrone in fabbrica, delle banche e dello strozzino
sotto casa, del proprietario dell’appartamento in atto, del sindacalista o del galoppino di partito che ti
propone la raccomandazione per un posto di lavoro o un appuntamento in ospedale, del poliziotto e del
magistrato se ti ribelli o semplicemente hai uno stile di vita non consono alla morale dominante, del prete
o dell’imam se pretendi di autodeterminare le tue relazioni umane…. E potremmo continuare con le tante
categorie che da bravi parassiti campano sul nostro lavoro.
Per questo presentiamo la proposta dell’autorganizzazione come terreno di sperimentazione e inchiesta
su pratiche e processi di conquista di nuovi modelli di relazione sociale a partire dalla rivendicazione dei
nostri bisogni e dalla conquista dei nostri desideri.
Lottiamo per difendere un posto di lavoro in pericolo, lottiamo per stabilizzare i contratti precari, lottiamo
per un salario o per un aumento salariale, lottiamo per ridurre l’orario di lavoro e l’intensità dello sfruttamento,
lottiamo per una diversa organizzazione del lavoro e per non morire sul lavoro… ma sappiamo che
senza una rimessa in moto di energie di trasformazione comunque moriremo di lavoro perché non lo
abbiamo o perché non ce ne possiamo liberare: perché il capitale è morte.
Perché femministe?
Gli esercizi della gerarchia, della disciplina, hanno la funzione di preparare ai futuri rapporti di subordinazione
e mercicazione, ai ruoli che di volta in volta vengono scelti per noi: angelo del focolare, lavoratrici
precarie e ricattabili, corpi a disposizione del piacere maschile e via dicendo. Perché viviamo in una società patriarcale, dove i ruoli sono intenzionalmente deniti. Il primo luogo dove consolidare i “valori” patriarcali è la famiglia, nucleo di riproduzione delle forme di gerarchia, comando, controllo, aermazione del pensiero maschile e cellula embrionale sulla quale la società capitalistica si sviluppa.
Le istituzioni attraverso la scuola continuano in questo compito e formano la “donna” come soggetta sociale
subalterno. Costatiamo che: – oggi le donne in Italia sono al penultimo posto delle classiche europee (l’ultima è Malta) per
quel che riguarda i livelli di occupazione ;
– la dierenza di retribuzione delle donne rispetto a quella degli uomini è intorno al 20% in meno ;
– è stata innalzata a 65 anni l’età pensionabile per le dipendenti del pubblico impiego ;
– la maggior parte delle donne vivono un doppio sfruttamento causato dalla precarietà e dai
continui peggioramenti normativi in ambito lavorativo e contemporaneamente continuano,
senza alcun riconoscimento, ad essere le uniche, in famiglia, a occuparsi della casa e della cura
dei gli ;
– il potere ecclesiastico è una costante che grava sulle scelte personali e di vita di ogni donna, basti
pensare alla quantità spropositata di obiettori di coscienza negli ospedali pubblici ;
Non gioiamo perchè una donna è nominata segretaria di un sindacato (Susanna Camusso) o a capo della
conndustria (Emma Marcegaglia) così come non rivendichiamo “quote rosa” e una maggiore presenza nei
palazzi del potere.Sappiamo bene che nessun schieramento politico darà mai spazio alla questione di
genere, e a quella eguaglianza fra eguali cui si vuole arrivare perché nessuno vuole una società orizzontale
di donne e uomini ma tutti aspirano a una gerarchirizzazione della classe e quindi alla delega e a eleggere un qualcuno a cui delegare tutto senza troppi pensieri (come avviene sui posti di lavoro delegando i sindacati,
in famiglia delegando il padre/marito alle decisioni “più serie”e così via).
La liberazione della donna è inseparabile dalla lotta di classe, dalla lotta per una società dove non ci sia
sfruttamento e non può signicare in alcun modo partecipazione alla gestione del potere e del controllo
sociale.
Per questo non possiamo non considerare come il mantenimento dei ruoli, delle gerarchie sia funzionale al
sistema capitalistico. Il suo obiettivo è favorire il libero mercato potenziando la proprietà privata a discapito della collettività
e del benessere comune.
Pensiamo che, oltre che l’anticapitalismo, i compagni e le compagne debbano assumere il conitto di
genere alla stessa stregua del conitto capitale/lavoro, primo perché non è scontato che con il superamento
del capitalismo il conitto di genere si risolva da solo – visto che ne è precedente e radicato
profondamente nella società – e secondo perché per superarlo c’è bisogno che tutti e tutte mettano
in discussione il proprio ruolo siano essi dominanti che dominate.
Autorganizziamoci nelle scuole, nelle università, in casa, nei posti di lavoro e liberiamoci dalle logiche
istituzionali e lo sindacali che detengono e proteggono in modo più o meno dichiarato l’ordine costituito.
L’ Autorganizzazione contro l’invasione capitalista dei territori
La classe dei padroni ha oggi, in questo paese, il problema di mantenere il ritmo incrementale dei protti
avendo fatto il pieno di automobili, lavatrici, televisori, computer etc.
Si sta vivendo una prolungata crisi di produzione e mercato.
Uno dei modi per gestire la fase è quello di trasformare in merce quello che no a ieri non lo era ovvero
appropriarsi della gestione di servizi adati sino al recente passato allo stato e alle sue articolazioni.Dalla fine degli anni settanta sono stati messi sul mercato beni come l’acqua e si è iniziato ad arontare con
criteri industriali il ciclo dei riuti; oggi per tenere alto articialmente il mercato si progettano opere ipertro-
che e ingiusticate dalla domanda, che sono imposte destabilizzando le popolazioni residenti e reprimendo
bisogni reali. Questi percorsi industriali, espropriando territori, imponendo servitù, gravando di nuove nocività le popolazioni,
producono reazioni di resistenza e vertenze più o meno signicative.
Si tratta di esperienze spesso trasversali e interclassiste che tuttavia oggettivamente contengono una
richiesta di autodeterminazione naturalmente contrapposta ai criteri di imposizione autoritaria , manageriale
padronale.
Nei territori si fa imponente la incapacità del sistema di comando di gestire sistemi sempre più complessi:
lo sfruttamento urbanistico delle aree apparentemente incomprensibile; una mobilità sempre più simile al
moto browniano; l’impoverimento e lo scadimento qualitativo delle risorse idriche; l’irrazionale polverizzazione
produttiva, lo sfaldamento del territorio montano, l’abbandono della sanità al mercatismo della trua
e della nocività; sistemi energetici sovrabbondanti e fragili etc etc…, testimoniano il fallimento evidente del
sistema delle imprese e della sua servitù politico amministrativa.
ALLORA LA DOMANDA ‘E: IL MOVIMENTO ANTAGONISTA ‘E BEN RADICATO IN QUESTI PROCESSI?
SIAMO D’ACCORDO CHE LA CONTRADDIZIONE CAPITALE-LAVORO VA LETTA SENZA FERMARSI AI
RECINTI DELLE AZIENDE?
LE RISPOSTE SONO SEMPLICI: IL MOVIMENTO ANTAGONISTA , fatte le debite e note eccezioni, NON
‘E RADICATO NEI CAMMINI DI RESISTENZA POPOLARI ALL’INVASIONE CAPITALISTICA DEI TERRITORI;
DOBBIAMO ANCORA CAPIRE BENE CHE CONFLITTUALITA’ AZIENDALE E TERRITORIALE DEVONO
ANDARE INSIEME.
L’autorganizzazione dei settori sociali estranei al protto non può che svilupparsi secondo questi criteri, la
priorità è costruire un tessuto di contropotere in grado di archiviare in un futuro non remoto un sistema a
brandelli. Il quadro politico della democrazia delegata lo possiamo pure osservare, ma da lontano, per non
essere travolti dal suo disfacimento. Attardarsi a recite spettacolari più o meno imponenti , comunque, a
tema libero o invisibile, allontana l’orizzonte della liberazione e favorisce gli opportunismi entristi più ovvio.
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